No all'aumento dell'Iva per le cooperative sociali
10/09/2013
No all'Iva al 10% per le cooperative sociali che con la gestione dei servizi socio-sanitari, educativi e di attività produttive consentono l'integrazione nel mondo del lavoro delle persone socialmente svantaggiate. É quanto chiede il Consiglio regionale che oggi ha approvato all'unanimità una mozione con la quale si invita il Governo a mantenere l'Iva per le prestazioni fornite dalle cooperative sociali al 4%.
«Con l’innalzamento dell’Iva dal 4% al 10% sulle prestazioni socio-sanitarie rese dalle cooperative sociali – ho dichiarato - , caleranno i servizi, già tagliati dai Comuni per la mancanza di risorse economiche. Ciò creerà anche un problema occupazionale. In un momento in cui il tasso di disoccupazione è altissimo, il governo deve cercare di creare nuovi posti di lavoro e non di togliere quelli esistenti. Oggi, solo tra le cooperative e loro consorzi ve ne sono 12 mila con 380 mila risorse umane impiegate e 6 milioni di persone che beneficiano dei servizi resi. Domani, con l’aumento dell’Iva, si stima che circa 500.000 cittadini resteranno senza più assistenza. Se davvero Letta, come ha proferito l’altro ieri a Cernobbio, intende “rompere le catene che bloccano l’Italia” , stia attento a non metterle, affinché i mercati finanziari, le politiche economiche, incluse quelle monetarie, si adeguino alle reali esigenze del paese e non viceversa».
Durante la discussione è stato approvato un emendamento proposto da Saggese con il quale si invita il Governo qualora non sia nelle condizioni di mantenere l'Iva al 4% a compensare l'aumento di costi a carico degli enti locali. «Accogliamo favorevolmente la mozione ma si tenga presente, come indicato dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrare del 03 maggio scorso, che l’Italia non è esente dal pericolo di una procedura di infrazione della Comunità Europea e, laddove tale infrazione non sia evitabile, è bene che in subordine la mozione riporti anche l’invito affinché il governo trovi le risorse necessarie per compensare la differenza di costo che gli enti locali dovranno sostenere affinché non vi siano ricadute sulla quantità e qualità dei servizi piuttosto che sui livelli occupazionali».